ALLENARE LA SQUADRA FEMMINILE: UN’IMPRESA?

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SnoWoman

Allenare la squadra femminile: un’impresa?

 

C’è un’esclamazione che nell’ambiente dello sci di fondo ho sentito molto spesso e continuo a sentire: «Non vorrei mai essere l’allenatore delle donne!». Ma siamo proprio così difficili? E così diverse dai nostri colleghi maschi?

Nei corridoi di via Piranesi a Milano, si narra ancora di quando negli anni 80 nessuno voleva prendersi cura di creare (e gestire) una nazionale femminile di fondo, e fu l’indimenticato Camillo Onesti (scomparso un anno fa) a dire: «Beh, che problema c’è? Lo faccio io…». E da quella risposte nacquero leggende come Belmondo, Di Centa, Paruzzi. Fondamentalmente, quello che funziona per gli uomini, funziona anche per le donne: una corretta metodologia e un approccio chiaro e trasparente da parte dell’allenatore hanno effetti positivi per entrambi.

Con la differenza che per le atlete il meccanismo è più complicato, sottile e… sofisticato. La motivazione è da ricercarsi proprio nella differenza morfologico-funzionale tra uomini e donne a livello del sistema nervoso. Il corpo calloso, una struttura composta da fibre che mette in comunicazione gli emisferi destro e sinistro, nella donna è più spessa e permette molte più connessioni. Per questo le donne hanno una maggiore capacità di integrare pensiero ed emozioni, sono più intuitive e “multitasking”. Non sempre un vantaggio nell’ambito dello sport agonistico, in cui risulta più vincente la relativa superficialità e capacità
di focalizzarsi sull’obiettivo degli uomini.

Le atlete sono più condizionate dal punto di vista emozionale ed ormonale, anche quando scendono in pista. Prima dell’obiettivo, riveste grande importanza la modalità. Particolari e dettagli che per i colleghi maschi sono praticamente invisibili, per le donne sono determinanti. È per questo che non è sufficiente il contenuto: le atlete portano la propria attenzione anche al modo e al tono con cui viene espresso. Ed è per questo che è fondamentale la parte relazionale con l’allenatore: le atlete hanno bisogno di essere capite, supportate; devono avere fiducia nel proprio coach e percepire che lui crede in loro. Insomma, l’universo femminile è estremamente più grande, complesso, variegato e, proprio per questo, più instabile. E sì, è più difficile gestire la preparazione di una squadra femminile. Ma i coraggiosi allenatori che riescono a conquistarsi la fiducia delle ragazze, vengono ripagati con grande soddisfazione: le atlete sono più precise ed accurate, vivono lo sport con più partecipazione, convinzione e dedizione rispetto agli uomini.

Più che un’impresa, definirei allenare la squadra femminile una sfida: complicata sì, ma, come tutte le cose difficili, stimolante e soddisfacente. E il grande Camillo di sfide ne ha vinte tante.

 

Virginia De Martin Topranin